di Allegra Mercuri
Alla fine del nostro secondo anno di attività, a giugno 2017, è venuta a trovarci Elena Tramontano, laureanda in Scienze dell’Educazione con il prof. Paolo Mottana all’Università Bicocca di Milano, per fare un’osservazione da riportare nella sua Tesi di Laurea “So-stare fuori: il valore della Natura in educazione e la pedagogia dell’Asilo nel bosco”. Ci ha fatto molto piacere conoscere Elena, e farci conoscere da lei, per questo riportiamo volentieri un riassunto del suo lavoro.
La prima parte della tesi introduce alle basi storiche della pedagogia del bosco: da Rousseau al primo Kindergarten, da Montessori a Dewey. Il salto tra quel pensiero pedagogico e la realtà del rapporto che la società occidentale contemporanea ha con l’infanzia è grande, a partire proprio dal concetto di tempo, che oggi “vuole essere dominato dall’adulto […]”, mentre “per sperimentare la natura occorre tempo non strutturato”.
Elena racconta, anche a partire dalla sua esperienza personale, quale distacco ci sia oggi tra la quotidianità della maggior parte dei bambini e la possibilità di godere di un tempo continuativo, illimitato e libero in una natura non del tutto addomesticata. Si sofferma poi sui vantaggi e sul valore pedagogico che la pedagogia del bosco offre: possibilità di sperimentare i limiti propri e dell’ambiente, di confrontarsi col rischio e l’incertezza, di crescere e imparare con gli altri attraverso il gioco libero, scoprire e dare un nome ai propri bisogni e alle proprie emozioni e riconoscere quelle altrui, di costruire la propria autonomia stando in un ritmo non forzato, che si adegua alle necessità di ciascuno.
Il secondo capitolo è dedicato alla storia della pedagogia del bosco, a partire dal primo Asilo nel bosco fondato da Ella Flatau in Danimarca negli anni ‘50. Questo movimento si è sviluppato a partire del concetto scandinavo di Frilufsliv, letteralmente “vita all’aria aperta”, passando poi per i Waldkindergarten tedeschi, per le Forest School anglosassoni, e arrivando infine anche in Italia.
L’ultimo capitolo è quello dedicato al nostro progetto di immersione in natura ispirato ai modello nordeuropeo di “Asilo nel bosco”. Vi sono descritte le finalità dell’associazione, l’organizzazione e la gestione delle attività, i nostri valori, gli spazi dedicati ai bambini al campo base.
Durante la settimana di osservazione che Elena ha trascorso con noi, per due mattine siamo rimasti alla Yurta, mentre gli altri giorni siamo stati in gita. Elena sottolinea come i bambini siano “i protagonisti attivi delle loro giornate”, soffermandosi sul ruolo dell’adulto che “accompagna il bambino, gli offre gli strumenti per dargli la possibilità di intraprendere i suoi percorsi, ma non interviene in modo direttivo”. Coglie poi alcuni degli elementi caratterizzanti del nostro percorso, come l’importanza per i bambini dei libri e della lettura, l’autonomia nella gestione del pranzo e della merenda, i laboratori artistici e manuali, l’esplorazione dell’ambiente selvatico, che ogni bambino approccia a modo proprio: saltando nelle pozzanghere, scivolando giù da una discesa fangosa, guadando cautamente un torrente; “i bambini del bosco, stando a stretto contatto con ambienti diversi e utilizzando molto il proprio corpo, ne hanno anche molta consapevolezza. Sono presenti in quello che fanno, sanno orientarsi e conoscono i luoghi che frequentano in modo attivo”.
L’attenzione si sofferma infine sulla tematica di genere in relazione alla pedagogia del bosco: cosa offre di specifico questo tipo di esperienza in natura alle bambine?
Nel suo incontro con le bambine del nostro progetto, Elena nota subito come queste abbiano la stessa possibilità dei maschi “di poter sperimentare, esplorare, manipolare, sporcarsi, vivere la natura”, a differenza di quanto accade in genere altrove: facendo riaffiorare i ricordi della sua infanzia, l’autrice riflette su come spesso ciò che ci si aspetta da bambini e bambine sia differente.
Il tema è approfondito grazie ad uno studio di Stuart Garbutt, che riporta interviste fatte a bambine e bambini di una Forest School inglese, e attraverso le interviste di Elena ai genitori di alcune bambine del progetto di immersione in natura di Fuori dalla Scuola.
Se la natura accoglie tutti senza distinzioni di genere, a Fuori dalla Scuola c’è inoltre una particolare sensibilità da parte degli adulti rispetto a questo tema, sensibilità che si manifesta nell’attenzione al linguaggio usato, all’immaginario proposto, così come nella prassi quotidiana riguardante l’abbigliamento, l’igiene, il comportamento.
“Il pensiero della comunità educante e delle persone che ne fanno parte, secondo i genitori intervistati, condiziona molto la pedagogia del bosco in ciascun contesto e questo quindi differenzia un progetto dall’altro. Un fattore determinante, rispetto alla possibilità che una bambina ha di poter vivere la natura in modo completo e senza vincoli è legato, quindi, a come gli adulti, genitori e accompagnatori del bosco, si rapportano a questa, ma soprattutto al fatto che non siano condizionati dai pregiudizi comuni che ne limitano la libertà, offerta in modo semplice dalla natura. Questa permette che maschi e femmine non sentano di avere possibilità o stimoli diversi, ma che vivano ciò che li circonda senza preconcetti.”
Questo non significa che a Fuori dalla Scuola le bambine non giochino con le bambole, o non si vestano di tulle rosa; significa che bambine e bambini si sentono entrambi liberi di giocare con le bambole nella maniera che preferiscono e che il tulle rosa può a fine giornata essere tranquillamente coperto di fango, tanto quanto una tuta da ginnastica. Ecco ad esempio cosa dice una mamma: “Sono contenta che lei possa portare la sua bambola all’asilo nel bosco e a nessuno salta in testa di etichettare questa cosa, in modo che lei sia libera anche di fare queste cose da bambina, ma senza per forza pensare che lei usi la bambola per forza per fare la mammina, ma che può voler dire che magari possa essere la sua amica di avventure. Può viversela come vuole, può immaginarsi lei cosa vuole, può essere sua figlia, sua sorella oppure un’altra esploratrice come lei. Senza che nessuno le dica niente. Con lei mi sto accorgendo anche un po’ di questo, che non è soltanto un discorso di ridurre l’essere bambina a delle attività che uno si aspetta, ma ad un modo di fare quelle attività.”
“Questo in natura avviene perché si entra in contatto con un mondo che non giudica, non vieta ma accoglie, dà la possibilità di essere sé stessi e di poter esplicitare un proprio lato, che anche se non in linea con le convenzioni sociali è autentico. nel nostro progetto i bambini possono vedere i pro e i contro di ogni cosa, perché si trovano in un contesto complesso e più realistico rispetto ad una scuola che li chiude in pensieri già pronti e a cui non possono far altro che aderire.”
I genitori intervistati riflettono anche sull’importanza che le proprie figlie possano sperimentare situazioni di rischio e di conflitto assieme ai loro compagni maschi, senza il costante filtro protettivo di adulti che, anche involontariamente, rimandano loro un’idea di bambine fragili e incapaci (immagine con la quale una bambina finisce poi con identificarsi). L’adulto in caso di conflitto interviene solo se valuta che qualcuno possa davvero farsi male, o se sono i bambini a richiedere il suo intervento perché non riescono a sbloccare una situazione di stallo, e il suo intervento punta a far emergere ciò che i bambini hanno difficoltà ad esprimere, senza sostituirsi a loro o fornire loro soluzioni preconfezionate.
Un papà dice in proposito: “Secondo me, meno esiste un’intermediazione da parte di un adulto nello scontro e più lei sarà in grado di utilizzare gli strumenti per decidere come comportarsi. Meno c’è intermediazione e meno si sviluppa la paura dello scontro, perché più volte sei abituato a rapportarti con questo meno hai paura, perché lo conosci. Il fatto di conoscerlo poi non significa che non ci rimani male, che non piangi o che non vuoi picchiare l’altro, però, hai una reazione consapevole.”
E ancora una mamma: “Io mi ricordo che all’inizio avevo un po’ questa preoccupazione perché non ero abituata a vedere il conflitto, perché negli altri asili interveniva sempre un adulto a separarli, per cui all’inizio mi spaventava che i bambini più grandi la potessero picchiare, non la prendevo proprio in maniera liscia. Però avevo grande fiducia in chi aveva pensato di affrontare il conflitto così e poi mi sono documentata.”
Anche se è una modalità alla quale spesso i genitori non sono abituati, il fatto di dare alle bambine fiducia lasciando che affrontino una situazione di conflitto con altri bambini permette che queste bambine imparino che anche loro possono dire di no quando qualcosa non va loro bene, e che sviluppino i propri personali strumenti per far valere se stesse senza bisogno di qualcuno che intervenga al posto loro. Secondo i genitori intervistati, si tratta di una consapevolezza molto preziosa per le donne del futuro.