Autore: Tim Gill
Traduzione: Selima Negro
Pubblichiamo con il permesso dell’autore la traduzione del post “The R word: risk, uncertainty and the possibility of adverse outcomes in play” pubblicato il 15 giugno 2016 sul blog di Tim Gill, autore del volume “No fear. Growing in a risk averse society.”
Mettiamo che, come me, anche voi pensiate che siamo diventati troppo protettivi e ansiosi nei confronti dei bambini che giocano. Che linguaggio dovremmo usare per sostenere l’ idea che è necessario cambiare in meglio il nostro atteggiamento? In particolare, la parola “rischio”, per esempio nell’espressione “gioco rischioso”, aiuta o no?
Adrian Voce, sostenitore della campagna a favore del gioco e mio successore nell’organizzazione che è ora Play England – ha messo in discussione* l’uso del termine rischio. Ammettendo i progressi che sono stati fatti nel riconoscere il ruolo del rischio nel gioco, dice:
Anche se “rischioso” e “avventuroso” sono, in un certo senso, sinonimi, il secondo termine ha inequivocabilmente un significato più positivo. Cattura anche meglio l’essenza dei bambini che giocano – il desiderio di superare i limiti, mettere alla prova i confini e, certamente, affrontare qualche rischio – ma con la finalità di sperimentare divertimento e eccitazione, non il il pericolo sconsiderato che l’espressione “gioco rischioso” potrebbe evocare…. “rischioso” potrebbe non essere il termine più adatto per descrivere le opportunità e gli ambienti che vogliamo mettere a disposizione dei nostri bambini, nè le modalità che adottiamo nel farlo.
I suoi dubbi trovano eco nella parole dell’insegnante e blogger americana Kim Allsop, che ha scritto in un post recente “per favore, possiamo smettere di parlare di “rischio”? Possiamo parlare invece di avventura, preparazione e fiducia.”
Spero che siamo tutti d’accordo sul fatto che è necessario un approccio più equilibrato e consapevole all’imprevedibilità che è una parte così centrale nel gioco dei bambini. Dobbiamo riconoscere il valore di una certa libertà, scelta e autonomia. E vogliamo allontanarci il più possibile dagli anni ’90 in cui dopo la parola “gioco” veniva inserita in automatico la parola “sicuro”.
Dobbiamo accettare che quando i bambini giocano liberamente, gli esiti sono incerti. In altre parole, dobbiamo accettare un rischio reale. Ovviamente questo non significa accettare l’incoscienza – nessuno sostiene questo.
Accettare l’incertezza degli esiti – accettare il rischio – significa accettare che qualche volta, i bambini faranno qualche errore e si faranno male o saranno turbati. In realtà, non stiamo facendo bene il nostro lavoro se qualche volta NON sbaglieranno e si faranno male o saranno turbati (grazie a Teacher Tom, che si è confrontato con il problema del linguaggio più di una volta).
Accettare il rischio non è un semplice dettaglio: è il singolo passo più importante che chiediamo di fare alla persona ansiosa. Usare la parola rischio è importante proprio perchè permette di affrontare direttamente la possibilità di esiti spiacevoli. Nel 2002, nella pietra miliare delle linee guida contenuta in “Gestire il rischio nelle aree gioco” si dichiara “può essere inevitabile che un’area gioco esponga al rischio – anche molto basso- di ferirsi anche mortalmente.”
Evitare la parola “rischioso” ed usare invece la parola ”avventuroso” o “sfida” significa nascondere la parte di incertezza che ci sta a cuore. Il messaggio implicito è “il tuo bambino vivrà un’avventura – ma non ti preoccupare andrà tutto bene”.
Ci sono alcune lezioni da apprendere dai nodi su rischio e sicurezza che si è trovato a dover sciogliere chi si occupa da decenni di proporre campi avventura (come sostiene nel suo recente libro Simon Beams “Imparare con l’avventura: una pedagogia per un mondo che cambia”). Un simile destino hanno incontrato molti parchi avventura britannici durante gli anni ‘80 e ’90. Adottare la parola “avventura” non è servito per proteggerli dall’aumento spropositato dell’avversione al rischio.
Detto questo, anche io ho delle riserve sull’espressione “gioco rischioso”. Ricordo di averlo incontrato la prima volta mentre recensivo il libro di Helen Tovey del 2007 “ Giocare all’aperto: spazi e luoghi, rischi e sfide”. Come ho detto allora, evoca il concetto problematico di una quantità prescritta di giosco rischioso come antidoto che si va ad aggiungere e non a sostituire una supervisione iperprotettiva e invadente il resto del tempo. Ma penso che gli operatori del settore consapevoli siano coscienti del pericolo.
Per quanto riguarda invece il punto di vista dei genitori, della stampa o dell’opinione pubblica in genere, sarei più cauto nel trarre conclusioni. Ho una prova (assolutamente non scientifica) che queste categorie di persone non sono così spaventati dalla parola rischio come alcuni pensano. Arriva da questo articolo. Dopo averlo letto, il 98% di quelli che hanno votato hanno effettivamente votato sì all’introduzione di elementi di rischio nei parchi giochi.
Anche se in certi contesti, la parola rischio è ancora un qualcosa di troppo per alcuni -e chiaramente lo è- il linguaggio cambia , e il significato delle parole evolve. E qualche volta questo avviene proprio attraverso la scelta di parole che mettono in dubbio e si confrontano con i valori esistenti. Guardiamo solo a come il movimento LGBT ha fatto suo l’uso della parola “queer”.
La professoressa norvegese Ellen Sandseter è associata con la promozione del “gioco rischioso” e ha stabilito una definizione di ricerca per quest’espressione. Il suo contributo a questo dibattito si affianca al mio punto di vista sui meriti di “rischio” invece di “avventura” o “sfida”.
Sandseter fa anche la rilevante osservazione che contesto e cultura sono importanti e quindi ragioni sufficienti per essere cauti nel fare affermazioni generali sull’uso del linguaggio. Mi chiedo, per esempio, se gli Stati Uniti possano essere uno dei luoghi in cui la parola rischio è davvero difficile da far accettare.
Detto questo, diamo un’occhiata globale alla campagna a favore del gioco dell’ultimo decennnio. Non ci sono molti motivi per festeggiare, ma uno di quesi riguarda proprio il rischio.
Quasi ovunque si guardi, stanno emergendo nuovi e più consapevoli approcci: nel design dei parchi gioco, nella gestione del rischio, nelle pratiche degli operatori [link a un file pdf], nelle posizioni sulle normative, negli standard delle attrezzature , nell’educazione all’aperto, cortili scolastici, nelle discussioni sulla genitorialità,nelle prospettive sulla prevenzione degli incidenti, nei diritti dei bambini [link a file .doc], nell’attrazione dei visitatori, negli spazi pubbblici per il gicoo – anche nei tribunali.
Questo progresso generale è stato sostenuto da un chiaro messaggio su che cosa significano libertà, scelta e incertezza nel gioco dei bambini. Significano rischio.
Negli ultimi mesi ho incontrato due esempi. Il primo viene dalla Svezia, nelle linee guida per il programma di investimento di 50 milioni di sterline per i cortili delle scuole. La prima signifactiva sezione del documento è intitolata “Affrontare i rischi necessari”. Vi è dichiarato: “Spazi aperti per bambini e giovani dovebbero essere progettati per promuovere la possibilità per i bambini di cercare situazioni emozionanti nei loro giochi, anche quando questo significa correre qualche rischio.” La seconda è dall’Olanda, dove i sostenitori della campagna per il gioco olandese si incontreranno la settimana prossima per discutere di “rischio e resilienza”.
Il mio lavoro personale sul rischio con genitori, educatori, operatori degli spazi gioco e decision makers in questi anni mi ha portato in giro per tutto il Regno Unito e in Europa, Nord America, Giappone, Australia e Asia. L’impatto di questo lavoro sarà giudicato da altri. Ma quello che posso dire io è che la chiarezza intorno al concetto di rischio – e cioè che significa una reale incertezza degli esiti – è stato un tema centrale e indispensabile.
Come prova, guardate la tag cloud sulla destra dell’homepage del mio blog
* Adrian Voce ha pubblicato un chiarimento sulla sua posizione qui.